Franchino se n’è andato, in punta di piedi com’era nel suo stile. Nonostante la sua cocciutaggine, non ho mai visto da lui un eccesso, un’arroganza. Sapeva comportarsi, sapeva immergersi nelle situazioni nel migliore dei modi, senza fingere e cercare di farsi accettare: no lui si proponeva per come era nella sua semplicità che personalmente apprezzavo molto.
Inizia la sua malattia all’indomani dell’andata in pensione, triste destino per chi ha lavorato da quando aveva i calzoncini corti che probabilmente hanno conosciuto pochi momenti di gioco. Raccontava la Roma che lui ha vissuto e conosceva, ne sapeva più del TomTom, raccontava la sua gioventù passata nel quartiere che lo aveva visto crescere e che non avrebbe più abbandonato. Ecco quindi che i suoi racconti scappavano da Roma solo quando raccontava della toscana dove si rifugiava con gli amici in cerca di sole e calma.
L’ho conosciuto circa 36-37 anni fa, e da subito mi ha trattato con benevolenza e simpatia proprio perché si sentiva giovane come tutti lo eravamo all’epoca. Certo lui era il maschio della famiglia in mezzo a due sorelle e tutti e tre dovevamo affrontare una vita che semplice non deve essere stata ognuno per i propri corsi; lui era sempre comunque sagace, ironico, nei confronti di tutti, anche della malattia che lo ha consumato sino a riporlo con la sua tuta preferita in una saletta per l’ultimo saluto: questo era Franchino semplice, a modo sempre con una battuta per tutti.